Con
una recente sentenza la Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. V, 27
agosto 2013, n° 35543) ha affrontato una questione che sempre più
spesso diventa spinosa, soprattutto quando i coniugi diventano “ex”.
Nel
caso affrontato dalla Corte la moglie (all'epoca dei fatti le parti
coinvolte erano sposate in regime di comunione dei beni) sottoscrisse
un prestito con la falsa sottoscrizione del marito, il quale
successivamente sporse querela per il delitto di “falsità in
scrittura privata” a norma dell'art. 485 c.p.
La
Corte, pur dichiarando il reato estinto per intervenuta prescrizione
ha precisato:
“a) sul piano
oggettivo, ai fini della sussistenza del reato di falso in
scrittura privata il consenso o l'acquiescenza della persona di
cui sia falsificata la firma, non svolge alcun rilievo, in quanto
la tutela penale ha per oggetto non solo l'interesse della persona
offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede
pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l'agente
faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sè un
vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l'erroneo
convincimento sull'effetto scriminante del consenso costituisce una
inescusabile ignoranza della legge penale; sul piano
soggettivo, nel delitto in questione, per l'integrazione del dolo
specifico non occorre il perseguimento di finalità illecite, poichè
l'oggetto di esso è costituito dal fine di trarre un vantaggio di
qualsiasi natura, legittimo od illegittimo .
Avvocato Denise Canu